ALICE PASQUINI - http://www.flickr.com/photos/alicepasquini/
E' una febbre quotidiana ad abitare le opere di Alicè, una sorta di volontà di normalità infittita da un'attitudine all'universale collettivo. Come schegge impazzite i tratti dei volti, i bizzarri tagli di inquadratura, le trame narrative semplicemente lineari, ogni particolare diviene tanto imponente da vanificare qualsiasi tentativo di comprensione, a discapito dell'intuizione pura della spontaneità del gesto istintivo. E' un meccanismo illustrativo e descrittivo che procede per arretrati e accumuli, affastellando istanti di presente lungo un percorso oltre misura dilatato ed esteso, pretesto di una propria reale e supposta validità ben oltre e al di là della normale contingenza dei fatti. Le figure, che vagheggiano ricordi da fumetto e da cartoon, si appoggiano e costruiscono sé stesse sopra personaggi minori, deuteragonisti capaci di guadagnarsi – a poco a poco – un ritaglio di spazio sempre maggiore all'interno di un'ipotesi di costante coraggio giornaliero. Il risultato di tale operazione è un prodotto faticoso per definizione, gravoso e difficoltoso – pure all'interno di una sua propria estetica rastremata e lineare, asciugata fino alle più nette conseguenze di naturalezza rigorosa e scrupolosamente scaltrita – ma, al contempo, del tutto godibile ed immediatamente percepibile. Le singolari prospettive di figura conservano la speciale peculiarità di squarciare il tempo distruggendo lo spazio, di amplificare la finzione attraverso il megafono della realtà. I soggetti, le immagini, le storie raccontate sono incursioni metropolitane tra fiction e vita reale e personale, epici melodrammi giornalieri mescolati ed amalgamati nel fondo di una macchina alimentata ancora da uno stupore antico e gelosamente autentico. La predominanza di lineamenti spigolosi e acidi è sinonimo di una dura eleganza inquieta, inclinazione a negare la mediocrità affogando la normalità nella consistenza e tenacità del reale.
A cura di Oliva Spatola
A cura di Oliva Spatola
testi di Francesco Poli